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Convertire i gas serra in combustili green: la "dream reaction" da sogno a prospettiva scientifica

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Raggiungere la “dream reaction”, la reazione - a lungo cercata - che permette di convertire i gas serra in combustili green, non è più solo un sogno, ma una prospettiva scientifica incoraggiata dai risultati di uno studio che ha riunito i principali enti di ricerca e gli Atenei del Friuli Venezia Giulia.

Il Consiglio nazionale delle ricerche con l’Istituto Officina dei materiali di Trieste (Cnr-IOM), l’Università di Udine, l’Università di Trieste, Elettra Sincrotrone e Area Science Park hanno messo in atto una sinergia che ha costituito un gruppo di ricerca ampio e interdisciplinare: la collaborazione al progetto ha consentito la messa a punto di una tecnologia per la preparazione di catalizzatori innovativi in grado di promuovere la trasformazione del metano, un potente gas serra che incide negativamente sul bilancio energetico del pianeta favorendo il riscaldamento globale.  

La metodologia individuata ha riguardato, in particolare, la possibilità di convertire direttamente il metano in metanolo, un prezioso alleato nel processo di transizione energetica, attraverso un nuovo materiale a basso costo a base di Cerio e Rame, le cui proprietà catalitiche sono state esplorate grazie alle tecniche all’avanguardia disponibili presso i poli universitari e centri di ricerca della regione. 

“È stata investigata la possibilità di sintetizzare dei materiali innovativi a basso costo, evitando l’utilizzo di solventi aggiuntivi e passaggi dispendiosi in fase di preparazione: questa tecnologia sfrutta semplicemente la forza meccanica che va a modificare la struttura del materiale di partenza e lo rende più efficiente nel trasformare il metano in altre molecole”, spiegano Silvia Mauri, ricercatrice di Cnr-Istituto Officina dei Materiali e Rudy Calligaro, ricercatore dell’Università di Udine, entrambi autori del lavoro. 

“Il risultato è stato duplice: da un lato aver identificato un materiale promettente per il processo di catalisi, dall’altro aver implementato le nostre conoscenze sui meccanismi che stanno alla base dell’efficacia di questi materiali. Questo è stato possibile grazie all’utilizzo di tecniche avanzate che utilizzano la luce di sincrotrone, unitamente alla potenza di calcolo oggi disponibile. In questo modo, sarà da ora in poi più semplice e veloce migliorare ulteriormente il design e l’utilizzo di questi catalizzatori”. 

Lo studio ha, quindi, implicazioni importanti nel supportare il processo della transizione energetica imposta dalle conseguenze del riscaldamento globale: “Il metano è una risorsa preziosa e la sua valorizzazione rappresenta una sfida importante nella catalisi eterogenea: per questo la comunità scientifica di tutto il mondo sta concentrando i suoi sforzi nella ricerca di nuovi materiali che ne facilitino i processi di trasformazione in prodotti che possano essere utilizzati in modo più sostenibile”, aggiunge Luca Braglia di Area Science Park. “Questo studio fondamentale, identifica una nuova classe di catalizzatori preparati in modo economicamente e ambientalmente più sostenibile. Conferma, inoltre, come l’utilizzo simultaneo di più tecniche avanzate e competenze interdisciplinari sia necessario per identificare e sviluppare di nuovi materiali e tecnologie a supporto della transizione ecologica”. 

Del gruppo di lavoro ha fatto parte anche Carlo Federico Pauletti, dottorando di ricerca in Fisica dell’Università di Trieste: “Ho contribuito al progetto realizzando al computer un modello che rappresentasse il catalizzatore sintetizzato e caratterizzato dai gruppi di ricerca del prof. Alessandro Trovarelli (UniUD) e del dott. Piero Torelli (Cnr-IOM), per poi studiarne il comportamento tramite delle simulazioni numeriche. Quanto è emerso dal nostro studio è, in accordo con i risultati sperimentali, una promettente attività per quanto riguarda la conversione diretta di metano in metanolo, dovuta alle particolari caratteristiche nano-strutturali del materiale, osservate anche negli esperimenti. 

L'ampia varietà di tecniche, sia sperimentali che teoriche, utilizzate nello studio di questo sistema costituisce, secondo il dottorando UniTS, un notevole valore aggiunto: "Ha migliorato notevolmente la nostra comprensione di questa reazione e del materiale utilizzato e la grande molteplicità di approcci ha reso molto stimolante il lavoro, grazie al confronto continuo con i ricercatori di tutti gli enti coinvolti", commenta Pauletti.

La ricerca, che conferma il ruolo di primo piano assunto dall’Italia nell’affrontare la sfida cruciale della transizione verde e dei nuovi materiali, dimostra come la cooperazione tra le eccellenze scientifiche regionali porti risultati di grande impatto. I risultati di questa collaborazione sono stati descritti sulla rivista scientifica statunitense “Small”, edita da Wiley, che le ha dedicato anche la copertina.

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Importanti risultati pubblicati in uno studio in collaborazione tra enti di ricerca del FVG. Nel team anche un dottorando in Fisica di UniTS
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Decarbonizzare il settore dell’acciaio in Italia: uno studio UniTS e WWF

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Il Centro Interdipartimentale Giacomo Ciamician su energia, ambiente, trasporti dell'Università di Trieste ha pubblicato, in collaborazione con il WWF Italia, il rapporto intitolato "Il Settore dell’Acciaio in Italia: Criticità ed Opportunità": lo studio innovativo esplora le prospettive di sostenibilità del settore siderurgico italiano, evidenziando le sfide in corso e i possibili scenari futuri.

Il contributo scientifico propone una visione sistemica del settore industriale dell'acciaio, suddivisa in diverse sezioni che analizzano la produzione mondiale, europea e italiana di acciaio, le emissioni di gas serra associate e le opportunità di decarbonizzazione legate non solo all’aspetto ambientale, ma anche a quelli economico e sociale.

Il lavoro è rivolto principalmente alle imprese e alle istituzioni che guidano la transizione verso gli obiettivi di neutralità climatica entro il 2050, considerando gli interessi della società civile organizzata e dei sindacati.

Tra gli elementi innovativi dello studio si evidenziano l’analisi quantitativa e qualitativa della produzione di acciaio, con un focus sui diversi processi produttivi, inclusi il forno ad arco elettrico (EAF), il ciclo integrale (BF-BOF) e gli impianti a riduzione diretta (DRI), le strategie di decarbonizzazione a breve e lungo termine, con un'attenzione particolare alle tecnologie emergenti e alle energie rinnovabili e le valutazioni economiche e occupazionali degli scenari di transizione verso una produzione più sostenibile.

Il gruppo di ricerca dell'Università di Trieste include Andrea Mio del Dipartimento di Ingegneria e Architettura (DIA), Romeo Danielis del Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali, Matematiche e Statistiche "Bruno de Finetti" (DEAMS) e Giovanni Carrosio del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (DiSPeS). 

Il team UniTS ha lavorato in stretta collaborazione con il WWF Italia per sviluppare un'analisi dettagliata e multidisciplinare del settore. La supervisione del progetto è stata curata da Mariagrazia Midulla del WWF Italia, garantendo che le raccomandazioni fossero allineate con le migliori pratiche ambientali.

"Questo rapporto - sostiene Andrea Mio, che ha coordinato scientificamente lo studio - rappresenta un passo importante verso una maggiore sostenibilità del settore dell'acciaio in Italia. Le strategie proposte mirano a ridurre le emissioni di CO₂ e a promuovere l'uso di energie rinnovabili, contribuendo così agli obiettivi climatici nazionali ed europei."

Lo studio delinea tre scenari di decarbonizzazione (Conservativo, Prospettico e Auspicabile), ciascuno con diverse implicazioni ambientali, economiche e occupazionali. Gli scenari offrono un quadro completo delle possibili evoluzioni, evidenziando i benefici di una transizione verso tecnologie a basso impatto ambientale.

La valutazione complessiva degli scenari di decarbonizzazione presentata dai ricercatori evidenzia alcune considerazioni chiave. Dal punto di vista ambientale la riduzione delle emissioni di CO2 deve essere uno degli obiettivi principali. Fra i diversi scenari delineati, quello Auspicabile prevede una significativa diminuzione delle emissioni attraverso l'adozione di tecnologie innovative e l’impiego di energie rinnovabili.

Dal punto di vista economico gli investimenti necessari per la transizione verso una produzione più sostenibile sono considerevoli, ma i benefici a lungo termine, inclusi risparmi sui costi energetici e miglioramenti nella competitività del settore, sono significativi.

Per quanto riguarda le ricadute occupazionali, la transizione verso una produzione di acciaio più sostenibile porterà a dei cambiamenti sostanziali, con una probabile crescita nei settori legati alla produzione di energia rinnovabile e alla manutenzione degli impianti innovativi.

Alcuni dettagli tecnici dei tre scenari

  • Scenario Conservativo: è uno scenario legato all’immobilismo e prevede azioni correttive piuttosto limitate, legate principalmente alla cattura e il riuso della CO₂ prodotta tramite tecnologie esistenti (BF-BOF e EAF). La riduzione complessiva delle emissioni al 2050 sarà di -10,02 MtonCO₂ (-53,37% rispetto al 2022). Gli investimenti annuali saranno di 1,478 miliardi di euro, con un LCOP stimato a 612,76 €/ton e un livello occupazione di 42.600 addetti nel settore siderurgico e circa 4.000 nel settore delle rinnovabili.
  • Scenario Prospettico: in questo caso è introdotta la tecnologia DRI (Direct Reduced Iron) utilizzando gas naturale e biometano con cattura della CO₂. Lariduzione delle emissioni sarà di -12,735 MtonCO₂ (-67,85% rispetto al 2022). Come nello scenario precedente, la cattura della CO2 risulta necessaria alla decarbonizzazione. Tuttavia, la sua implementazione richiede delle condizioni molto stringenti per essere condotta in maniera sostenibile, condizioni che vengono presentate all’interno del report. Gli investimenti annuali saranno di 1,845 miliardi di euro, con un LCOP stimato a 607,28 €/ton e un livello di occupazione di 39.400 unità nel settore siderurgico e circa 5.000 nel settore delle rinnovabili.
  • Scenario Auspicabile: questo prospetto prevede l’utilizzo della tecnologia DRI basata sull'idrogeno verde e fonti rinnovabili accoppiate al mix energetico nazionale. La riduzione delle emissioni complessive sarà di -12,735 MtonCO₂ (-67,84% rispetto al 2022), senza introdurre la cattura della CO2 e con una potenziale riduzione ulteriore legata alla progressiva decarbonizzazione del settore energetico nazionale. Gli investimenti annuali saranno di 1,386 miliardi di euro, con un LCOP stimato a 621,61 €/ton e un livello di occupazione di 39.400 addetti nel settore siderurgico e più di 12.000 nel settore delle rinnovabili.

Il ricordo

Gli autori hanno voluto, inoltre, onorare la memoria Maurizio Fermeglia, professore ordinario di Principi di Ingegneria Chimica e già Rettore dell'Università di Trieste, appassionato dei temi della sostenibilità ambientale, collaboratore del WWF e delegato dell’associazione in Friuli Venezia Giulia. 

"Maurizio ha contribuito allo sviluppo iniziale del lavoro e ci ha aiutato a coniugare in questo rapporto il rigore scientifico con la visione climatica e ambientale. Manca tantissimo a tutti noi e vogliamo testimoniarlo e ricordarlo anche in questa occasione", si legge nella dedica del rapporto.

 

Il report completo è disponibile sul sito del WWF Italia

 

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Il Centro Interdipartimentale Ciamician delinea tre scenari con le relative implicazioni ambientali, economiche e occupazionali
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Centenario UniTS: nascono i PhD Innovation Awards

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In occasione del Centenario dalla sua fondazione, l'Università di Trieste istituisce i "PhD Innovation Awards" per premiare le migliori tesi di dottorato di ricerca presentate nell'ambito dei corsi di terzo livello che hanno sede a UniTS.

Allo scopo sono stati stanziati 15mila euro che consentiranno di assegnare cinque premi da tremila euro ciascuno

La prima edizione del concorso si rivolge ai dottori di ricerca che hanno superato la prova finale tra il 1° gennaio 2023 e il 30 giugno 2024, discutendo una tesi che si è distinta per il grado di innovazione dei risultati ottenuti. Le domande di partecipazione dovranno essere presentate online con credenziali di Ateneo entro le ore 13 del 29 agosto 2024.

L'iniziativa intende riconoscere l'eccellenza e il pensiero innovativo che caratterizzano il lavoro di coloro che rappresentano il futuro della ricerca.

"Investire sui giovani ricercatori, promuovendone la crescita culturale e professionale - sostiene il prof. Alessandro Baraldi, delegato del rettore alla ricerca scientifica e ai dottorati - è uno degli obiettivi più importanti del nostro Ateneo. Con i premi che mettiamo a concorso vogliamo valorizzare idee, originalità e creatività che sono le fondamenta del sapere e dell’innovazione che celebriamo nell’anno del Centenario.

Se nel corso degli ultimi anni abbiamo favorito l’accesso al livello più alto della formazione universitaria incrementando il numero delle borse di dottorato, adesso attraverso questa iniziativa desideriamo celebrare anche i risultati raggiunti al termine del percorso, frutto dell’enorme impegno profuso dai nostri dottorandi di ricerca".

Le candidature saranno valutate in una prima fase da una Commissione di Ateneo che selezionerà le dieci tesi migliori. I finalisti potranno partecipare a un seminario di esperti nel settore dell'innovazione che decreteranno poi la graduatoria finale e l'assegnazione dei cinque premi.

La cerimonia di conferimento si svolgerà in occasione dell’evento intitolato “PhD, autori del futuro della conoscenza”, previsto nel mese di novembre 2024, all'interno del quale i vincitori del concorso presenteranno i risultati delle ricerche svolte nell'ambito della tesi dottorale.

Tutte le informazioni relative al concorso sono disponibile sul relativo Bando.

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Cinque premi per riconoscere e valorizzare il contributo scientifico innovativo dei dottori di ricerca. Domande entro il 29 agosto
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Iris Zalaudek tra i leader internazionali in dermatologia

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Iris Zalaudek, professoressa ordinaria di Malattie Cutanee e Veneree e direttrice della Scuola di specializzazione in Dermatologia, ha ricevuto il prestigioso Certificate of Appreciation Awards nell'ambito della Leadership Internazionale della dermatologia.

Il riconoscimento è assegnato dalla International League of Dermatological Societies (ILDS) che riunisce 215 diverse società scientifiche di 103 paesi al mondo, con lo scopo di promuovere leadership strategica a livello internazionale nell'ambito della medicina che si occupa delle patologie a carico della pelle e degli annessi cutanei.

Alla docente UniTS, che è anche direttrice della Struttura Complessa Clinica Dermatologica e Centro MST di Asugi, è stato riconosciuto il significativo contributo alla promozione della dermatologia internazionale, con un impatto positivo sulle politiche e sulle pratiche sanitarie globali, promuovendo la ricerca transfrontaliera, l'istruzione e l'emancipazione dei dermatologi, delle loro società e del pubblico.

La professoressa Zalaudek è stata la prima Presidente donna della Società Internazionale di Dermoscopia (2016-2021) ed è stata nominata tra le 50 donne più influenti nell'ambito della dermatologia nel 2021.

In occasione di questo conferimento abbiamo chiesto alla nostra docente un contributo che descriva lo stato dell'arte e le sfide più importanti della dermatologia internazionale all'interno dei sistemi sanitari.


La dermatologia – una branca multidisciplinare 
Oltre 2.000 malattie della pelle e delle mucose dimostrano la diversità della dermatologia. È una specialità che si interfaccia con molte altre discipline occupandosi della fisiologia e patologia della pelle e delle mucose, delle malattie tumorali, delle malattie infiammatorie croniche e delle dermatosi autoimmuni, dei processi di invecchiamento, delle infezioni, delle allergie e di altre malattie ambientali. 

Le malattie della pelle colpiscono tutti i gruppi di età e generi. Le malattie croniche, come la dermatite atopica o la psoriasi, sono malattie molto comuni e richiedono cure per tutta la vita. 

La dermatologia, come tante altre specialità, sta vivendo una vera rivoluzione nelle terapie mediche: sempre di più arrivano nuovi farmaci innovativi e efficaci per il trattamento dei tumori cutanei e malattie infiammatorie. I biologici, piccole molecole, immunoterapie e immuno-check-point inibitori, JAK-inibitori ecc. hanno ampliato il panorama della dermatologia personalizzata.  

 

La dermatologia - una disciplina in costante trasformazione
La ricerca dermatologica è il prerequisito per acquisire nuove conoscenze, la cui applicazione clinica viene utilizzata per la diagnosi e cura dei pazienti. Uno scambio attivo a livello nazionale e internazionale (conferenze, associazioni e lavoro sulle linee guida) consente di condividere i risultati della ricerca e di sviluppare nuove domande e approcci di ricerca. 

La qualità del trattamento dermatologico si basa fondamentalmente su linee guida che vengono regolarmente revisionate e aggiornate. 

In una società che invecchia costantemente, la prevenzione e la diagnosi precoce, così come i concetti di terapia precoce con terapie innovative, come la “terapia proattiva anziché reattiva”, devono essere incorporate più che mai al fine di modificare il decorso della malattia, prevenire le comorbidità e ridurre o evitare gli effetti collaterali, anche in termini di finanziamenti del sistema sanitario. 

 

La dermatologia - sfide per il futuro
L'invecchiamento della società pone sfide importanti al sistema sanitario: il numero degli anziani bisognose di cure e dei malati cronici aumenterà con significative ricadute e pressioni sui finanziamenti. Sono necessari più prevenzione, multi-professionalità e una buona interazione tra le professioni sanitarie. Le cliniche stanno già ora affrontando grandi sfide a causa della carenza personale. 

Si sta cercando di contrastare questo fenomeno, ma le previsioni per i prossimi 5-6 anni prevedono comunque un ulteriore peggioramento. 

La pelle però rappresenta anche un organo modello particolarmente adatto alla medicina digitale perché facilmente accessibile. Le app e l'intelligenza artificiale sono già componenti del supporto digitale per la diagnostica e la terapia. Le applicazioni digitali per la salute, la messa in rete digitale sistematica dei dati nella ricerca (big data), i dispositivi diagnostici e la teledermatologia hanno il potenziale per migliorare l'assistenza dermatologica completa e quindi evitare i tempi di attesa. 

Sebbene la digitalizzazione non possa sostituire il contatto personale con un medico in tutti i casi, offre alle persone con alterazioni cutanee una reale opportunità di consultare uno specialista/app, senza dover aspettare mesi. 

 

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La docente del DSM ha ricevuto il Certificate of Appreciation Awards della Lega Internazionale delle Società Dermatologiche, che riunisce 215 sigle di 103 diversi Paesi
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Ricercatori UniTS scoprono in Antartide un nuovo crostaceo

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Un gruppo internazionale di ricercatori coordinato dall’Università degli Studi di Trieste ha scoperto una nuova specie di gamberetto antartico – la Orchomenella rinamontiae –, un crostaceo appartenente all’ordine degli anfipodi, individuato in prossimità della Stazione Antartica Italiana Mario Zucchelli da Piero Giulianini, zoologo e professore presso il dipartimento di scienze della vita dell’Università degli studi di Trieste, durante la XXXIII spedizione antartica italiana nella Baia di Terra Nova.

L’evento apre nuove strade per la ricerca e rappresenta un significativo passo avanti per una comprensione più approfondita della vita e della biodiversità marina nelle regioni più remote e inospitali del pianeta: la conoscenza delle comunità marine antartiche e delle specie che le compongono, infatti, è di fondamentale importanza per monitorare, attraverso i mutamenti che le vedono coinvolte, i cambiamenti globali dovuti alle attività umane.

“Lo scopo iniziale della ricerca era quello di verificare le risposte di una specie di gamberetto antartico al riscaldamento dei mari. Tuttavia, dalle analisi morfologiche e genetiche è emerso che alcuni dei campioni appartenevano a una specie mai descritta prima” spiega Piero Giulianini, zoologo e docente presso il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste. “La nuova specie appartiene ad un gruppo dominante ed endemico nelle acque antartiche, gamberetti spazzini che svolgono un ruolo chiave nelle comunità marine, consumando e disperdendo cibo di tutte le dimensioni. Come fosse una cartina al tornasole, il monitoraggio dell'abbondanza e della diversità di questi gamberetti permetterà di capire gli impatti antropici in atto su questi delicati ecosistemi: l’impatto causato dall’uomo sull’ambiente, infatti, influisce negativamente sulle comunità marine, ostacolandone diversità e complessità. Non solo, nei nostri laboratori condurremo analisi per studiare come la nuova specie individuata risponda al riscaldamento degli oceani” conclude il professore.

Per l’analisi morfologica i ricercatori si sono avvalsi di una tecnica innovativa e avanzata di imaging, la microtomografia a raggi X, che ha permesso di ottenere immagini tridimensionali ad alta risoluzione della nuova specie, offrendo il vantaggio di esaminare digitalmente il campione senza introdurre artefatti e distorsioni dovuti alla manipolazione.

La scoperta non solo arricchisce il catalogo delle specie marine antartiche, ma sottolinea anche l’importanza di combinare analisi fisiche e genetiche per la classificazione delle specie, attraverso strumenti tecnologicamente avanzati come la microtomografia, che potrebbe rivoluzionare il modo in cui si studiano e classificano i campioni biologici. Con il continuo miglioramento della risoluzione delle immagini e la riduzione dei costi delle attrezzature, la microtomografia potrebbe presto diventare una tecnica standard nelle ricerche sulla biodiversità, accelerando notevolmente il processo di scoperta, descrizione e classificazione delle specie.

Il nome scelto per descrivere il nuovo gamberetto, Orchomenella rinamontiae, è un omaggio del gruppo di ricerca alla zoologa Rina Monti, che nel 1907 divenne la prima donna italiana a ottenere una cattedra all’Università di Sassari, e celebra il suo contributo pionieristico alla zoologia in ambito accademico.

Lo studio ha visto la partecipazione dei gruppi di ricerca di zoologia applicata e di genomica applicata dell’Università degli Studi di Trieste (Piero Giulianini, Samuele Greco, Elisa D'Agostino, Marco Gerdol, Alberto Pallavicini, Chiara Manfrin) con il contributo di due esperti nel campo della classificazione dei gamberetti antartici: Claude de Broyer del Royal Belgian Institute of Natural Sciences e Ed Hendrycks del Canadian Museum of Nature. Un fisico e una zoologa dell’Università della Calabria (Sandro Donato e Anita Giglio) hanno partecipato all’analisi dei dati della microtomografia a raggi X eseguita al Sincrotrone Elettra di Trieste.

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Studio completo pubblicato su Zoological Journal of the Linnean Society  
‘A new Antarctic species of Orchomenella G.O. Sars, 1890 (Amphipoda: Lysianassoidea: Tryphosidae): is phase-contrast micro-tomography a mature technique for digital holotypes?’

Piero G. Giulianini1, Claude De Broyer2, Ed A. Hendrycks3, Samuele Greco1, Elisa D’Agostino1, Sandro Donato4,5,6, Anita Giglio7, Marco Gerdol1, Alberto Pallavicini1, Chiara Manfrin1

1Department of Life Sciences, University of Trieste, Trieste, Italy
2Royal Belgian Institute of Natural Sciences, Bruxelles, Belgium
3Canadian Museum of Nature, Research and Collections, Ottawa, Canada
4Department of Physics, University of Calabria, Cosenza, Italy
5Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Division of Frascati, Frascati, Rome, Italy
6Elettra-Sincrotrone Trieste SCpA, in AREA Science Park, Basovizza, Trieste, Italy
7Department of Biology, Ecology and Earth Science, University of Calabria, Cosenza, Italy

Abstract
Lo studio internazionale ha utilizzato una tecnica di imaging innovativa. IL monitoraggio della nuova specie rivelerà l'impatto antropico sulla biodiversità e sugli ecosistemi marini
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Cambiamenti climatici: sei contributi UniTS nell'edizione 2024 di "Segnali dal clima in FVG"

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È liberamente consultabile l’edizione 2024 di “Segnali dal clima in FVG”, la pubblicazione divulgativa realizzata dal Gruppo di lavoro tecnico-scientifico Clima FVG istituito dall’Amministrazione Regionale nel 2022 e coordinato da Arpa FVG. 

Questo lavoro, disponibile online sul sito web dell’Agenzia, si propone di far conoscere alla popolazione regionale - e a tutti i soggetti pubblici e privati interessati - i cambiamenti climatici, i loro effetti e le azioni che si possono intraprendere per affrontarli nella nostra regione. Al contempo, la pubblicazione consente anche di collegare la dimensione locale con quella globale, attraverso alcuni articoli che allargano lo sguardo a ciò che accade su scala più ampia.

"Segnali dal clima" non è quindi un report sullo stato del clima in Friuli Venezia Giulia, bensì una descrizione dello stato delle cose, di quanto sia importante prenderne coscienza ed agire, di come la società, la pubblica amministrazione e il mondo scientifico si stiano già attivando.

Il “magazine” raccoglie più di 40 articoli di 67 autori che operano presso gli enti del Gruppo Clima FVG: Regione, ARPA FVG, Università di Trieste, Università di Udine, ICTP, OGS e CNR con i due istituti di Scienze Marine e Scienze Polari.

Il 2023 è stato il terzo anno più caldo mai registrato in regione: atmosfera e mare hanno raggiunto temperature per molti mesi superiori alla media ed eventi estremi di notevole intensità hanno colpito diverse aree della regione. Da qui comincia quest’anno il racconto dei segnali di cambiamento climatico che rileviamo nel nostro territorio e che si traducono in effetti diversificati sui diversi sistemi naturali e settori produttivi, chiamandoci ad “agire per il clima”. 

Esperti dei diversi campi – climatologi, geologi, oceanografi, biologi, agronomi, economisti, ingegneri, architetti, professionisti dell’ambiente, della pubblica amministrazione e della salute – della nostra Regione accompagnano il lettore in un percorso di conoscenza che parte dalle nostre montagne e si snoda seguendo idealmente il fluire delle acque attraverso la pianura, per arrivare alla laguna e al mare. Tornando sulla terraferma gli articoli esplorano gli effetti dei cambiamenti climatici su piante e animali, sia negli ecosistemi allo stato naturale che nel settore agricolo

Anche questo numero si conclude con alcuni esempi di azioni intraprese dagli enti pubblici, in primis la Regione FVG, per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici.

Questa edizione ospita anche un ricordo di Maurizio Fermeglia, già rettore di UniTS scomparso lo scorso febbraio, e uno dei suoi ultimi contributi divulgativi. Sei complessivamente gli articoli firmati dai ricercatori del Dipartimento di Ingegneria e Architettura e del Dipartimento di Scienze della Vita dell'Università di Trieste. 

La montagna e i cambiamenti climatici: un equilibrio fragile in un ambiente vulnerabile  (pag.43)
Maurizio Fermeglia (DIA) con prefazione di Sabrina Pricl (DIA)
Gli effetti dei cambiamenti climatici sono particolarmente evidenti in montagna, un ambiente molto vulnerabile dove anche “piccoli” aumenti di temperatura hanno effetti amplificati e possono compromettere i delicati equilibri che ruotano intorno ai 0 °C. Le conseguenze sono rilevanti, dalla fusione dei ghiacciai e del permafrost agli impatti sugli ecosistemi e sulle attività montane. Importanti cambiamenti sono già oggi percepiti dai frequentatori della montagna: escursionisti, alpinisti, sciatori e scialpinisti.

Le acque dolci: cambiare prospettiva per affrontare il clima che cambia (pag. 89)
Elisabetta Pizzul, Marco Bertoli (DSV)
Gli ecosistemi delle acque dolci sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti dell’ambiente e del clima. Un cambiamento nel nostro modo di percepirli e di gestirli è necessario non solo per preservarli, ma anche per consentire a essi di svolgere quelle funzioni che rappresentano soluzioni naturali efficaci per affrontare anche i cambiamenti climatici.

Trasformazione dei paesaggi della bonifica e nuovi deserti friulani in un quadro dei cambiamenti dei modelli agricoli e climatici (pag.105)
Thomas Bisiani, Adriano Venudo (DIA)
Le bonifiche della pianura friulano-isontina hanno modellato il paesaggio, creando un reticolo idrografico che oggi svolge rilevanti funzioni ecologiche. Questo patrimonio ambientale, storico e culturale è oggi messo a rischio da nuovi modelli agricoli e da modalità di efficientamento dell’irrigazione adottate per fronteggiare i cambiamenti climatici. È necessario trovare un equilibrio tra le esigenze di agricoltura, ambiente e paesaggio per arginare una vera e propria “desertificazione” del territorio.

Topi coraggiosi: il ruolo dei piccoli mammiferi nell’adattamento di querce e faggi ai cambiamenti climatici (pag 153)
Alessio Mortelliti (DSV)
Fino al 90% delle piante in un ecosistema possono dipendere dagli animali per la dispersione dei loro semi, come avviene per le querce e i faggi, alberi ecologicamente ed economicamente importanti in Friuli Venezia Giulia. I piccoli mammiferi, quali topi e arvicole, svolgono questa vitale funzione con modalità complesse e affascinanti e alcune ricerche mostrano come alcuni individui siano particolarmente importanti in questo processo.

Cambiamento climatico e benessere: le temperature estive negli spazi abitativi (pag. 195)
Marco Manzan, Atlas Ramezani (DIA)
Temperature elevate, specialmente se associate a elevata umidità, possono risultare pericolose per le persone, specialmente le più fragili. Per poter agire a loro tutela, in un’ottica di equità climatica, è importante valutare questo fenomeno all’interno delle abitazioni, specialmente quelle sprovviste di impianti di climatizzazione. Uno studio di UniTS ha analizzato le condizioni interne di benessere e stress in un edificio plurifamiliare, considerando il clima attuale e futuro e anche l’effetto di ventilatori elettrici. 

Edilizia e cambiamento climatico: progettare strutture più resistenti agli eventi estremi (pag. 203)
Chiara Bedon (DIA)
Con il riscaldamento globale aumenta, in generale, la frequenza e l’intensità degli eventi meteorologici estremi. Molti componenti e sistemi costruttivi, progettati per resistere agli eventi atmosferici convenzionali, risultano carenti per fenomeni estremi, come quelli registrati di recente in FVG. Sarà necessaria una nuova attenzione per adeguare i sistemi edilizi e in particolare le loro componenti più vulnerabili, per renderli più resistenti agli eventi meteo più intensi.

Abstract
Nella pubblicazione divulgativa coordinata da Arpa FVG anche un articolo del Prof. Maurizio Fermeglia, recentemente scomparso
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Sviluppo 5G tra Italia e Slovenia: il contributo di UniTS per la sicurezza delle comunicazioni

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L'Università di Trieste ha ospitato, nell'Aula Magna dell'edificio D (Campus di Piazzale Europa), l'evento conclusivo del progetto 5G-SITACOR, che ha condotto uno studio di fattibilità per l'implementazione del 5G lungo tratte transfrontaliere dei corridoi TEN-T Mediterraneo e Baltico-Adriatico tra Italia e Slovenia.

Lo studio è stato coordinato dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con l'Università di Trieste, l'Università di Lubiana (Slovenia), DARS (Slovenia), Telekom Slovenije (Slovenia), Anas (Italia), Autostrade Alto Adriatico (Italia), Retelit (Italia) e Luka Koper (Slovenia) con l'obiettivo di valutare e definire le migliori modalità per sfruttare il potenziale della tecnologia 5G (maggiore velocità di trasmissione, minore latenza e maggiore affidabilità) in diversi ambiti per lo sviluppo di infrastrutture lineari come la Mobilità Connessa e Automatizzata (CAM) e la sicurezza stradale nelle aree identificate.

L'evento ha visto la partecipazione dei rappresentanti politici del ministero per la trasformazione digitale della Repubblica di Slovenia e dell'Assessorato e al Patrimonio, Demanio, Servizi generali e Sistemi informatividella Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, nonché un contributo tecnico dal ministero delle imprese e del Made in Italy. 

Lo studio, propedeutico alla partecipazione della Regione FVG alla prossima call della Commissione europea, ha analizzato lo stato dell'arte, con le analisi geografiche, della rete stradale e delle infrastrutture di telecomunicazione, le cui informazioni raccolte hanno permesso di sviluppare la seconda parte del lavoro. È stato infatti possibile definire i parametri necessari alla realizzazione di un'infrastruttura dedicata allo sviluppo del digitale intelligente e ai servizi per i territori e le comunità, valutando le migliori modalità per applicare la tecnologia di rete 5G per lo sviluppo di infrastrutture lineari, come la mobilità connessa e automatizzata e la sicurezza stradale, lungo 275 Km di autostrada tra il Friuli Venezia Giulia e la Slovenia. 

Nel dettaglio, le autostrade coperte dallo studio insistono su oltre 200 km del corridoio Mediterraneo e del corridoio Baltico-Adriatico, e oltre 60 km di autostrade aggiuntive come percorso secondario in caso di eventi critici. Le tratte principali sono: Udine Nord-Palmanova (27 km), Latisana-Fernetti e Fernetti-Sezana (102 km), Fernetti-Sezana-Divaca (16 Km), Fernetti-Koper passando per Trieste (36 km), Koper- Divaca-Postojna (57 km) e Villesse-Gorizia-Nova Gorica-Razdrto (62 km). 

L'Università di Trieste, all'interno del progetto, ha curato lo studio dei requisiti di sicurezza dell'infrastruttura, in particolare di come possano essere rafforzati mediante l’utilizzo delle tecnologie quantistiche. Uno degli utilizzi più promettenti del 5G è la possibilità di abilitare la guida autonoma, per la quale è necessario lo scambio di un numero elevato di informazioni (presenza di altri veicoli, condizione della strada, segnaletica stradale, etc. etc.) e la messa in sicurezza delle comunicazioni tra tutti gli elementi dell’infrastruttura. 

Il gruppo di lavoro coordinato dal Prof. Angelo Bassi, docente di Fisica teorica, ha elaborato un'architettura basata sulla comunicazione quantistica per garantire la sicurezza nello scambio di informazioni tra veicoli in movimento e i centri di controllo degli stessi.

L'Ateneo giuliano, che da diversi anni ha avviato un importante programma per lo sviluppo di queste innovative tecnologie, dispone di un laboratorio all’avanguardia nello sviluppo della comunicazione quantistica, realizzato con il supporto della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.

In proposito, UniTS partecipa anche alla realizzazione di una rete quantistica su fibra ottica che collegherà i tre atenei regionali: la rete sarà gestita da LightNet, una delle punte di diamante della nostra Regione nel campo delle infrastrutture di comunicazione. I piani per il futuro sono di collegare questa infrastruttura al resto del paese e ai paesi confinanti, tra cui la Slovenia.

“Il progetto 5G Sitacor - conclude Bassi - apre la strada alla realizzazione di una infrastruttura digitale che andrà a beneficio degli operatori economici e dei cittadini. In campo accademico, piace sottolineare l’avvio di un’importante collaborazione tra l’Ateneo triestino e l’Università di Lubiana su un tema strategico per il territorio”.

 

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Si è concluso all'Università di Trieste il progetto 5G-Sitacor, coordinato da Regione FVG. Il Prof. Angelo Bassi ha presentato il lavoro svolto dall'Ateneo
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Rigenerare e rivascolarizzare il cuore dopo un infarto: parte progetto internazionale guidato da UniTS

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Sviluppare una nuova terapia capace di rigenerare completamente il cuore dopo un infarto del miocardio, formando nuovo tessuto e nuovi vasi sanguigni per riportare il muscolo cardiaco alla sua piena funzionalità: è questo l’obiettivo del progetto di ricerca internazionale RESCUE  Bridging the gap between cardiac regeneration and revascularization coordinato dall’Università degli Studi di Trieste, che coinvolge esperti di rigenerazione cardiaca e angiogenesi provenienti da Italia, Spagna, Olanda, Slovacchia e Turchia.

“Per molti anni i progressi nei campi della rigenerazione cardiaca e dell’angiogenesi hanno proceduto parallelamente, senza parlarsi. Tuttavia, per riparare un cuore danneggiato da un infarto è necessaria la formazione sia di nuovo muscolo cardiaco sia di nuovi vasi sanguigni. Con il progetto RESCUE puntiamo a colmare questa lacuna tra rigenerazione cardiaca e rivascolarizzazione: vogliamo, infatti, sviluppare un nuovo farmaco biologico, che contenga due principi attivi – e in particolare due molecole di RNA – in grado di rigenerare il cuore e simultaneamente promuovere la vascolarizzazione del tessuto rigenerato” spiega la coordinatrice del progetto Serena Zacchigna, professoressa di biologia molecolare presso il Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute (DSM) dell’Università degli Studi di Trieste e direttrice del laboratorio di biologia cardiovascolare dell’ICGEB. 

I ricercatori hanno già identificato alcune molecole candidate, che si sono rivelate in grado di promuovere da un lato la proliferazione delle cellule del muscolo cardiaco e dall’altro la formazione di nuovi vasi sanguigni, sia piccoli capillari che arterie più grosse. Nei prossimi tre anni i ricercatori sperimenteranno diverse combinazioni fino a identificare quella più efficace. Sarà la prima volta che due molecole biologiche, capaci di stimolare questi due processi fondamentali per la riparazione di un cuore infartuato, vengono unite in un unico farmaco, per dimostrare la sinergia d’azione.

L’Università di Trieste – l’unico ateneo italiano alla guida di uno dei diciassette progetti selezionati dal bando CARDINNOV – coordinerà lo studio in collaborazione con il Centro Cardiologico Monzino IRCCS, in particolare con il gruppo di ricerca del prof. Giulio Pompilio, direttore scientifico e delegato italiano alternate presso il Comitato per le Terapie Avanzate (CAT) dell’Agenzia Europea del Farmaco (EMA). 

“L’infarto del miocardio continua ad essere una delle principali cause di morte” spiega il Prof. Giulio Pompilio, direttore scientifico del Centro Cardiologico Monzino IRCCS. “La ricerca ha recentemente prodotto nuovi farmaci a RNA che agiscono sui fattori di rischio dell’infarto, ma non si hanno ancora terapie che stimolano la riparazione del cuore. Nei prossimi anni ci aspettiamo che un numero sempre maggiore di farmaci a RNA arrivi alla clinica per il trattamento delle malattie cardiache” conclude il professore.

Al progetto collaborano il Centro Nazionale per la Ricerca Cardiovascolare (CNIC) di Madrid, l’Università di Utrecht, l’Università Lokman Hekim di Ankara, l’Accademia Slovacca delle Scienze e l’associazione di pazienti PLN Foundation, quest’ultima incaricata di educare e sensibilizzare pazienti e caregiver sulle nuove terapie a RNA.

Con un finanziamento di 1,5 milioni di euro – dei quali oltre 600 mila sono destinati all’Italia, attraverso il Ministero dell’Università e della Ricerca e il Ministero della Salute – il progetto è promosso dalla partnership Ue ERA4Health, che sostiene la collaborazione tra diversi enti di ricerca europei e internazionali in aree prioritarie nel settore della salute, favorendo lo sviluppo di innovazioni terapeutiche.

 

 

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La Prof.ssa Zacchigna coordina RESCUE, studio finanziato UE per sviluppare un nuovo farmaco a RNA
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Gestire meglio i rifiuti nelle aree protette: al via il progetto interreg Wastereduce

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È stato presentato all’Università di Trieste il progetto Wastereduce, che coinvolge Croazia e Italia nell’ambito del VI programma di cooperazione territoriale europea Interreg 2021-2027.

Il progetto green, della durata di due anni e mezzo, vede la collaborazione di istituti di ricerca, amministrazioni locali, agenzie di protezione e gestione dell’ambiente e delle risorse naturali, organizzazioni non-governative e società di servizi con l’obiettivo di migliorare la gestione dei rifiuti nelle aree protette e nei siti della Rete Natura 2000: l’iniziativa intende implementare azioni congiunte per contrastare con metodi di rilevazione e intervento innovativi il fenomeno dell’abbandono dei rifiuti.

Sono otto i partner - espressione dei territori del Friuli Venezia Giulia, del Veneto e dell’Istria, che partecipano al progetto: l’Istituto per l’Agricoltura e il Turismo di Parenzo, capofila del consorzio, il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste, la Regione Istriana, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente del Veneto, l’Ente gestore delle riserve naturali della regione istriana “Natura Histrica”, l’Associazione per la Natura, l’Ambiente e lo Sviluppo Sostenibile “Sunce” con sede in Croazia, ETRA SpA - Società benefit con sede a Bassano del Grappa (Treviso) ed Etifor – Valuing Nature spin off dell’Università di Padova.

Wastereduce, finanziato per oltre 1.6 milioni di euro dall’Unione Europea, nasce in risposta ai recenti allarmanti dati forniti dalla Comunità Europea che prevedono, in uno scenario di tipo “business-as-usual", l’aumento entro il 2040 di quasi tre volte il quantitativo di rifiuti in plastica che verranno immessi negli ecosistemi acquatici, passando dalle attuali 9-14 milioni di tonnellate all'anno (dato del 2016) a una previsione di 23-37 milioni di tonnellate all'anno. 

Si calcola che circa l'80% di questi rifiuti dispersi in mare provenga dalla terraferma: rifiuti che entrano nell'ambiente marino da fonti terrestri (ad esempio, rifiuti gestiti in modo inadeguato nelle discariche, l'abbandono dei rifiuti sulle spiagge e nelle aree costiere; il deflusso dei fiumi; il turismo costiero) ma anche direttamente smaltiti in mare (ad esempio attraverso lo scarico illegale o rilasciati accidentalmente in mare da parte delle navi). 

Questi materiali, soprattutto in plastica, sono responsabili di gravi danni economici, impattando le comunità costiere, il turismo, la navigazione e la pesca, ma anche responsabili di danni causati alla salute dell’uomo e alla biodiversità, impattando sulla salute pubblica e sulle risorse come l’acqua potabile.

L’approccio che il gruppo di lavoro svilupperà mira a minimizzare le pressioni esercitate dalle attività umane sulle aree protette e sui siti Natura 2000, proponendo soluzioni per ridurre la dispersione nell’ ambiente di rifiuti e, sviluppando meccanismi di cooperazione transfrontaliera atti a monitorare e identificare le aree critiche in cui l’accumulo dei rifiuti richiede uno sforzo gestionale puntuale. In modo complementare, si interverrà con studi specifici di psicologia comportamentale per capire come promuovere un cambio di abitudini da parte di chi fruisce le aree protette e che, consapevolmente o inconsapevolmente, si rende complice di azioni fortemente impattanti sull’ambiente.

Secondo la Dott.ssa Barbara Sladonja dell’Istituto per l’Agricoltura e il Turismo di Parenzo, coordinatrice del progetto, Wastereduce ha l’obiettivo di coinvolgere fin da subito quante più realtà territoriali, istituzioni e singoli cittadini in grado di contribuire attivamente a supportare il cambiamento della nostra società verso un futuro più sostenibile e a basso impatto ambientale”. 

Altamente rilevante sarà l’utilizzo di tecnologie avanzate che, grazie anche alle immagini satellitari, permetteranno un’analisi territoriale necessaria per ottimizzare i punti di raccolta dei rifiuti. “Una sfida importante che affronteremo sarà capire in che modo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrà supportare i sistemi di monitoraggio da remoto per tenere sotto controllo l’accumulo di rifiuti nelle aree di pregio naturalistico”, sostiene il Prof. Giovanni Bacaro, docente di Botanica Ambientale ed Applicata dell’Università di Trieste, referente del progetto per il Dipartimento di Scienze della Vita.

Fondamentale per la riuscita del progetto sarà infine il coinvolgimento dei cittadini a vari livelli, cittadini su cui si concentreranno le azioni di educazione e sensibilizzazione. Grazie al loro feedback, inoltre, saranno indirizzate le nuove politiche di gestione dei rifiuti da parte degli enti preposti e partner del progetto che, secondo le attese, si dovranno tradurre in azioni concrete per ridurre, mitigare ed evitare l’inquinamento da rifiuti delle nostre riserve naturali, dei nostri fiumi e dei nostri mari. Risultato non secondario sarà anche aumentare l’attrattività per i visitatori delle riserve naturali, migliorando così il valore dell'offerta turistica dei territori coinvolti. 

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Presentata all’Università di Trieste l’iniziativa che coinvolge Italia e Croazia con 8 partner da Friuli Venezia Giulia, Veneto e Istria
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Medicina del lavoro: due nuovi strumenti al TREELAB

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Grazie alla collaborazione con ASUGI e ai finanziamenti PNRR-PNC destinati ad analisi di inquinanti ambientali e professionali in tracce, il laboratorio TREELAB di UniTS si arricchisce di due nuovi strumenti: un laser ablation (366.000 Euro) e un analizzatore di metilmercurio (72.000 Euro).

In dettaglio, Il laser ablation permette l'analisi dei metalli sulle superfici e altri substrati, mentre l’analizzatore di metilmercurio permette di verificare la presenza di mercurio in acqua, aria e nei capelli.        

I nuovi strumenti vanno ad arricchire la dotazione del laboratorio consentendo indagini approfondite sui metalli pesanti in Regione: la collaborazione tra medici, chimici e geologi permette infatti di unire le diverse competenze per potenziare e approfondire le indagini ambientali e nei luoghi di lavoro.

Sempre nell'ambito dei fondi PNC-PRR è in fase di acquisizione un ulteriore macchinario che permetterà la determinazione di molecole organiche in traccia e che andrà a completare i laboratori ASUGI-UniTS.

TREELAB nasce dalla collaborazione fra il Dipartimento Clinico di Scienze Mediche, Chirurgiche e della Salute, quello di Scienze Chimiche e Farmaceutiche e il Dipartimento di Matematica, Informatica e Geoscienze. L'attività all’interno dei laboratori è svolta e coordinata dai proff. Francesca Larese Filon, già direttrice del Dipartimento a Attività Integrata di Servizi per la Sicurezza, Prevenzione e Sorveglianza Sanitaria, da Gianpiero Adami, Matteo Crosera e da Stefano Covelli, insieme ai loro collaboratori e tecnici.        

 

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Grazie alla collaborazione con ASUGI, il Lab di UniTS si arricchisce di un Laser ablation e di un analizzatore di metilmercurio
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