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Satellite EUCLID: tutto pronto per il lancio a inizio luglio

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Euclid è la seconda missione di classe Medium (M2) del Programma Scientifico dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), approvata dal Science Programme Committee (SPC) a giugno 2012.

Il satellite ospita un telescopio a specchio di 1,2 metri di diametro e due strumenti scientifici, il VISible Instrument (VIS) e il Near Infrared Spectrometer Photometer (NISP) che effettueranno uno studio del cielo extragalattico con lo scopo di ottenere immagini di altissima accuratezza e misurare gli spettri di milioni di galassie. Alla fine della sua vita operativa, Euclid avrà prodotto immagini e dati fotometrici per più di un miliardo di galassie e milioni di spettri di galassie.

Si tratta di una delle missioni più ambiziose mai realizzate dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e che vede coinvolte numerose realtà scientifiche locali, italiane e internazionali. L’Istituto Nazionale di Astrofisica - Osservatorio Astronomico di Trieste (INAF-OATs)la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) e l’Università di Trieste (UniTS) sono fortemente coinvolti nella missione: sono infatti protagonisti sia per lo sviluppo degli algoritmi di analisi tecnici e scientifici, sia nell’interpretazione dei dati, oltre ad avere la responsabilità delle operazioni degli strumenti a bordo del satellite.

Carlo Baccigalupi (SISSA) racconta lo scopo scientifico di Euclid: “la ricostruzione della mappa quadri-dimensionale di circa metà dell'Universo osservato che sarà possibile ottenere grazie ai dati raccolti da Euclid rappresenterà una pietra miliare per la cosmologia di precisione. I dati permetteranno, per la prima volta, un collegamento diretto con la radiazione cosmica proveniente dal Big Bang, che nell'attraversare le strutture osservate da Euclid acquisisce "impronte" importantissime e misurabili sulle misteriose proprietà fisiche della materia e dell’energia oscura. La rete fortemente connessa e coordinata fra gli istituti scientifici dell'area di Trieste rappresenta una parte rilevante della collaborazione per il segmento di Terra della missione e per la correlazione con i dati dalla radiazione cosmica presi da altri strumenti, come Planck nello scorso decennio e, ora, il Simons Observatory."

Euclid sarà il primo satellite a carattere scientifico che verrà lanciato con il vettore Falcon 9 della SpaceX. Euclid inizierà il suo viaggio dalla base spaziale di Cape Canaveral (Florida - USA) nella prima settimana di luglio verso il punto lagrangiano L2 del sistema Sole-Terra, a 1,5 miliardi di km dalla Terra.

“Nei mesi successivi al lancio qui a Trieste riceveremo i primi dati e finalmente potremo eseguire le migliaia di righe di codice che sono state sviluppate dai ricercatori per calibrare e analizzare scientificamente le immagini riprese da Euclid” commenta Andrea Zacchei (INAF-OATs), responsabile del segmento di Terra che ha in carico l'analisi dati sino alla loro pubblicazione sul sito dell'ESA e le operazioni degli strumenti. E aggiunge: “l’INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste ospita uno degli Science Data Centre (SDC) di Euclid dedicato allo sviluppo ed esecuzione degli algoritmi necessari all'analisi dati. Ci aspettano sei anni di osservazioni e una grande quantità di dati che saranno una miniera d'oro per l'astrofisica mondiale e aumenteranno la nostra conoscenza dell'Universo. Ancora una volta la collaborazione tra l'INAF-Osservatorio Astronomico di Trieste, l'Università di Trieste e la SISSA è essenziale per la buona riuscita della missione Euclid, come fu per la missione Planck".

"L’Università degli Studi di Trieste ha la responsabilità delle operazioni dei due strumenti scientifici che sono il cuore della missione Euclid. Le operazioni consistono in serie di esposizioni scientifiche, potremmo paragonarle a delle foto molto sofisticate, ripetute migliaia di volte durante i sei anni di durata della missione. Dovremo monitorare  il comportamento degli strumenti su base giornaliera al fine di ottimizzare tutto il sistema. Cresceremo insieme a Euclid!”, spiega Anna Gregorio di UniTS.

 

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UniTS ricorda Carlo Donato, docente di Geografia Economica

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L'Università degli Studi di Trieste, in particolare il Dipartimento DEAMS, ricorda il prof. Carlo Donato, recentemente scomparso.  

Dopo aver iniziato la carriera didattica nella scuola media superiore, insegnando geografia economica negli istituti tecnici triestini, per poi approdare a quella universitaria come Ricercatore in Geografia presso l'allora Facoltà di Magistero (poi Scienza della Formazione) dell'ateneo triestino, Carlo Donato è stato Professore Associato prima, Ordinario, poi, di Geografia Economica e Politica, docente di Geografia Economica e Geografia Economica e del Turismo all'Università degli Studi di Sassari - Polo Universitario di Olbia, dove ha insegnato per oltre vent'anni. Si è interessato a temi di ricerca di Geografia del Turismo, applicati soprattutto al contesto della Sardegna, e di Geografia della Popolazione, con interessi nei confronti delle più recenti dinamiche della popolazione immigrata nelle aree del Friuli Venezia Giulia e della Sardegna, nonché verso le analisi geostoriche legate all'esodo della popolazione italiana dall'Istria e dalla Dalmazia all'indomani della Seconda Guerra Mondiale.  

 

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Co-creazione etica per la ricerca: i risultati del progetto En-RRI

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Orientare la partecipazione pubblica verso la scienza e la tecnologia per rendere l’innovazione più coerente con i bisogni e le richieste della Società, è questo l’obbiettivo del progetto di ricerca En-RRI (Enhancing RRI in the bottom-up co-creation of science and technology) concluso da poco.

Il team di ricerca, coordinato dal Politecnico di Milano e composto da ricercatori dell’Università degli Studi di Padova e dell’Università degli Studi di Trieste, ha lavorato per comprendere e promuovere progetti di innovazione con una forte partecipazione di cittadini e attori della società civile, ovvero i progetti di co-creazione.

I processi di co-creazione sono chiave nel portare in primo piano le implicazioni trascurate dell’innovazione. En-RRI ha evidenziato come la co-creazione possa rendere la ricerca e l’innovazione più responsabile sotto il profilo etico e sociale, migliorandone al contempo la percezione e la comprensione pubblica.

Come importante risultato del lavoro il team ha realizzato il volume “Co-creazione e responsabilità nell’innovazione tecno-scientifica dal basso”, pubblicato dall’editore Mimesis, che presenta in maniera accessibile i risultati di una lunga ricerca che ha esplorato le modalità attraverso cui è possibile condurre progetti di innovazione nei campi della salute, delle tecnologie digitali e della sostenibilità ambientale, capaci di mettere al centro i cittadini e i potenziali destinatari delle innovazioni.

A partire dai risultati di questa ricerca, il progetto En-RRI ha realizzato poi una seconda pubblicazione, un libro illustrato a fumetti “Fare e raccontare la co-creazione della scienza e della tecnologia” che descrive alcuni principi guida (orientati a ricercatori, decisori politici e organizzazioni della società civile) che mirano ad allineare i processi di ricerca e innovazione ai valori sociali condivisi con lo scopo di guidare cittadinanza, istituzioni e comunità scientifiche nell’affrontare le grandi sfide che la società ha oggi di fronte, come quella della transizione ecologica. Inoltre, il libro ha raccontato in modo accessibile e coinvolgente come l’inclusione dei cittadini possa rendere l’innovazione e la ricerca più sostenibili e capaci di intercettare efficacemente i bisogni dei cittadini stessi.

Nel complesso, i risultati del progetto En-RRI contribuiscono alla diffusione della ricerca e dell’innovazione responsabile nelle nuove comunità di innovatori e fra le istituzioni scientifiche italiane, stimolando la loro consapevolezza rispetto alle implicazioni sociali delle loro attività e motivandoli a farsi carico della responsabilità relativa sia al processo di ricerca sia ai risultati prodotti. Non vi è dubbio, infatti, che le istituzioni pubbliche dovrebbero essere sempre più attente nel guidare la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica verso una maggiore desiderabilità sociale: si parla di responsabilità della ricerca e dell’innovazione proprio per sottolineare come la dimensione etica debba essere centrale nel modo in cui immaginiamo e progettiamo la scienza e la tecnologia.

En-RRI ha avuto durata triennale e il contributo di Fondazione CARIPLO (Bando “Science and Technology Studies, 2019). Il team di ricerca coordinato dal Politecnico di Milano e composto da ricercatori dell’Università degli Studi di Padova e dall’Università degli Studi di Trieste, ha lavorato per dare forma a nuove traiettorie dell’innovazione insieme a diverse organizzazioni fra cui: la Asfo Erbezzo; DeeBee Italia; ènostra; Fondazione FightTheStroke; Molino Tuzzi e Il Patto della Farina del Friuli orientale; OpenDot; Paradigma Innovation Hub e RaspiBO.

Open Access En-RRI

Libro a fumetti

 

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Marco Franceschi guida del field trip di un progetto Unesco sul riscaldamento globale

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Il professor Marco Franceschi, geologo del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell'Università di Trieste, ha guidato, assieme al dott. Alberto Riva dell'Università di Ferrara, il field trip all'interno del progetto Unesco "The Mesozoic-Paleogene hyperthermal events", che ha visto la partecipazione di studiosi di otto università straniere, provenienti da Cina, Inghilterra e Germania.

Il progetto in corso rientra tra gli International Geoscience Program (IGCP) che l'agenzia delle Nazioni Unite dedica a tematiche come le georisorse, il cambiamento climatico, il rischio geologico, l’idrogeologia e la geodinamica e, nel caso specifico, si concentra su intervalli del tempo geologico in cui vi sono evidenze di periodi di forte riscaldamento globale. Il loro studio può aiutare a comprendere l’attuale contesto di cambiamento climatico e prevederne gli effetti a lungo termine.

L' escursione avvenuta in Italia si è concentrata su due eventi di riscaldamento globale: il Carnian Pluvial Episode e il Toarcian Ocean Anoxic Event, avvenuti rispettivamente all’incirca 235  e 183 milioni di anni fa. Il field trip si è svolto a Longarone e Cortina d’Ampezzo, in provincia di Belluno, dove sono esposte rocce che registrano questi due importanti eventi geologici.

I partecipanti, tutti coinvolti nel progetto IGCP 739, provenivano da Nanjing Institute of Geology and Paloentology, Institute of Geology and Geophysics, Chinese Academy of Sciences, Nanjing University, China University of Geosciences (Beijing), Hohai University, Chengdu University of Technology, University of Leeds e University of Hamburg.

 

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Presenti studiosi di otto università straniere, provenienti da Cina, Inghilterra e Germania per una due giorni a Longarone e Cortina d'Ampezzo
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Visita dell'Università cinese di YanShan

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Il prorettore Valter Sergo e la Delegata per le Relazioni e mobilità internazionale Barbara Milani hanno accolto una delegazione dell’Università di YanShan.

L’ateneo cinese è legato ad UniTS da un Memorandum of Understanding, grazie al quale al Dipartimento di Ingegneria e Architettura sono e saranno ospitati studenti di dottorato e docenti per circa un anno. La visita ha rappresentato un'occasione per consolidare i rapporti tra le due Università.

Questi i componenti della delegazione:

Gao Xu, docente di lingua e cultura cinese all'Università degli studi di Trieste e di Udine, Presidente e fondatore dell'Istituto Nuove Vie della Seta; JanGuo Hou, Ispettore di secondo livello del Dipartimento dell'Istruzione della provincia di Hebei; YuMing Wu, Vice Presidente e Responsabile del Partito Comunista dell’Università di Medicina della provincia di Hebei; ZhengQi Ji, Direttore dell'Ufficio Comunicazione e collaborazione internazionale del Dipartimento dell'Istruzione della provincia di Hebei; SuMin Chu, Direttore del'Ufficio dei dati governativi dell'Ufficio di gestione servizi governativi della provincia di Hebei; Qi Zhang, Direttore dell'Ufficio comunicazione e collaborazione internazionale dell'Università di Medicina della provincia di Hebei e Jun Lu, Direttore dell'Ufficio internazionale dell'Università di YanShan.

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È online il bando Mentors4UniTS, il primo progetto di mentorship di UniTS

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E' uscito il bando Mentors4UniTS, il primo progetto di mentorship dell'Università di Trieste!

Si tratta di un progetto pensato per avviare gli studenti magistrali (anche a ciclo unico) iscritti all’ultimo anno a un percorso di crescita personale in cui il mentor, un professionista laureato all’Università di Trieste, aiuterà lo studente a focalizzare il suo obiettivo professionale e a valorizzare il suo percorso di studi, le sue aspirazioni e attitudini.

Gli studenti, partecipando al bando, potranno scegliere il proprio mentor e iniziare un percorso di avvicinamento consapevole al mondo del lavoro.

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Scegli il tuo mentor e iscriviti entro il 23 luglio!
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Idrogeno verde, la scelta più sostenibile nel porto di Trieste

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L’idrogeno verde – secondo alcuni importanti indici di efficienza energetica, emissioni di gas climalteranti e costi di produzione - è la soluzione ideale come vettore energetico per le operazioni del porto di Trieste. Sono arrivati a questa conclusione due gruppi di ricerca dell’Università di Padova e dell’Università di Trieste che hanno valutato la sostenibilità ambientale ed economica dell’idrogeno verde prodotto con elettrolizzatori alimentati da elettricità rinnovabile rispetto ad altri tipi di idrogeno (grigio, blu e grid).

Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Applied Energy ed è frutto di una collaborazione portata avanti negli ultimi anni dal due gruppi di ricerca coordinati da Alberto Bertucco, professore ordinario di Impianti Chimici all’Università degli studi di Padova e da Maurizio Fermeglia, professore ordinario di Principi di Ingegneria Chimica all’Università degli studi di Trieste.

La ricerca è stata svolta all’interno del centro studi “Levi Cases” dell’Università di Padova e del centro per l’energia, l’ambiente ed i trasporti “Giacomo Ciamician” dell’Università di Trieste.

I ricercatori hanno svolto un’indagine di confronto fra diversi metodi di produzione di idrogeno per l’impiego a livello locale, con particolare riferimento alle operazioni di movimentazione di merci e persone, al fine di azzerarne le emissioni equivalenti di CO2 fossile. Lo studio ha sviluppato modelli di simulazione predittiva di processi industriali di produzione di idrogeno, che hanno fornito la base per una valutazione quantitativa affidabile.

“Siamo partiti dalla necessità di fare chiarezza sui costi e sugli impatti della produzione di idrogeno e quindi dai simulatori di processo per ottenere i dati di bilancio di materia e di energia e dei costi di costruzione, manutenzione ed uso degli impianti per arrivare ad eseguire degli studi affidabili”, sottolinea Andrea Mio, ricercatore in Principi di Ingegneria Chimica presso l’Università di Trieste: “In questo modo il lavoro svolto ha dato indicazioni su diversi aspetti relativi alla sostenibilità: ambientale, economica ed energetica”.

Si stima che i porti contribuiscano al 4,7% delle emissioni di CO2 dell’Unione Europea. L’idrogeno può svolgere un ruolo importante nella loro decarbonizzazione, andando progressivamente a sostituire l’alimentazione, oggi principalmente a diesel, di veicoli pesanti quali navi, treni e camion coinvolti nelle attività portuali.

“Quello dell’idrogeno è un tema molto caldo nell’ambito della transizione energetica, e negli ultimi anni sono stati pubblicati molti studi a riguardo. Tuttavia, per noi era fondamentale calare lo studio nell’ambito di una specifica applicazione, quella del porto, poiché, come abbiamo capito attraverso i nostri studi, le condizioni al contorno possono influenzare molto i risultati” aggiunge Elena Barbera, ricercatrice in Impianti Chimici presso l’Università di Padova.

I dati utilizzati sono quelli relativi al porto di Trieste, ma lo studio offre una metodologia generalizzabile ad altri porti del Mediterraneo che per la prima volta considera tutti insieme importanti indicatori, quali l’indice di ritorno energetico (EROEI – Energy Return On Energy Invested), il costo livellato dell’idrogeno (LCOH – Levelized Cost of Hydrogen), il potenziale di riscaldamento globale (GWP – Global Warming Potential), il costo totale di proprietà (TCO – Total Cost of Ownership), oltre a quelli previsti dall’analisi del ciclo di vita (LCA – Life Cycle Assessment).

“Dal nostro studio si può evincere che l’idrogeno andrebbe sfruttato solo per un utilizzo locale, e con funzione di accumulo di quantità di energia in eccesso prodotta da fonti rinnovabili intermittenti, oppure per applicazioni in cui l’elettrificazione non costituisce un’alternativa realizzabile, come ad esempio il traffico di mezzi pesanti, che potrebbero essere alimentati da fuel cells a idrogeno” sostiene Alberto Bertucco.

“Allo stato attuale, infatti, il trasporto dell’idrogeno nelle reti di distribuzione del gas naturale non è possibile, e potrà essere realizzato soltanto con una nuova rete costruita ad hoc, i cui costi di realizzazione, tuttavia, risulterebbero molto elevati” - aggiunge Maurizio Fermeglia - “Riteniamo pertanto che l’uso in loco sia da preferirsi. Così l’idrogeno, per cui sono stati già stanziati ingenti finanziamenti sia a livello nazionale sia europeo, potrebbe svolgere un ruolo nel processo di decarbonizzazione di diversi settori, tra cui anche quello portuale”.

L’amministratore delegato di Adriafer Maurizio Cociancich sottolinea l’importanza dello studio: “L’analisi svolta offre delle chiavi di lettura della massima importanza per prendere decisioni strategiche legate alla conversione energetica della nostra produzione di servizi di manovra all’interno dei nodi portuali. Valutare le implicazioni legate alla sostenibilità economica e ambientale della scelta dell’idrogeno come veicolo energetico utilizzato per la propulsione delle nostre locomotive è un processo che siamo chiamati a fare considerando tutto il sistema portuale e della mobilità. Solo effettuando questa operazione, rompendo i silos settoriali, riusciremo a prendere la giusta direzione come sistema e non unicamente come singolo attore”.

 

Le principali evidenze dello studio

In termini di EROEI (Energy Return On Energy Invested) l’idrogeno verde, ottenuto da elettrolisi dell’acqua alimentata da energia rinnovabile, è risultato sempre più vantaggioso rispetto a idrogeno grigio o blu: il primo è ottenuto dal gas naturale (SMR – Steam Methane Reforming) senza cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, il secondo con la cattura della CO2.

I costi di produzione (LCOH) sono molto influenzati dalla scala dell’impianto. In particolare, gli impianti di SMR (per idrogeno grigio e blu) soffrono pesantemente dell’economia di scala, perciò sono adatti solo a produzioni centralizzate su larga scala, e non a produzioni in loco. Il costo dell’idrogeno verde, invece, grazie alla modularità degli elettrolizzatori, è meno influenzato dalla taglia dell’impianto, e si dimostra quindi più adatto ad una produzione decentralizzata.

Per quanto riguarda l’analisi LCA (Life Cycle Assessment), in termini di Global Warming Potential (GWP) l’idrogeno verde è quello con le migliori prestazioni. Tuttavia si è visto che, se per il processo di elettrolisi viene utilizzata energia elettrica dalla rete (grid hydrogen) con il mix nazionale attuale (circa un terzo rinnovabile, due terzi non rinnovabile), le emissioni risultano significativamente più elevate anche di quelle dell’idrogeno grigio, poiché l’elettrolisi dell’acqua è un processo estremamente energivoro (circa 55 kWh/kgH2, in media).

Relativamente all’idrogeno blu, le emissioni non sono ridotte a zero, in quanto la cattura non è totale e al massimo intorno al 90%. Inoltre, non è ancora stata validata su larga scala nessuna tecnologia per lo stoccaggio della CO2 dopo la sua separazione o cattura.
Se si considerano altre categorie d’impatto ambientale (consumo di risorse, utilizzo di terreni, inquinamento e consumo di acqua), l’idrogeno verde produce degli impatti maggiori rispetto a blu e grigio, e pertanto alcuni aspetti possono e devono essere migliorati.

 

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Più sostenibilità ambientale ed economica con l’idrogeno verde per le operazioni del porto di Trieste. Lo studio offre un metodo generalizzabile ad altri porti del Mediterraneo.
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Al Clab di Units lanciato il bando "YES! CALL 2023 Sustainable Innovative Solutions from FVG Region"

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Si è svolta al Contamination Lab di UniTS la conferenza stampa organizzata da UNIDO ITPO Italy e World Trade Center Trieste per annunciare che il Global Manufacturing and Industrialisation Summit (GMIS) ha scelto Trieste come prossima tappa, a settembre, del roadshow GMIS Connect.

GMIS Connect -Trieste mira a riunire i principali leader industriali ed esperti italiani per promuovere discussioni approfondite incentrate sull’idrogeno verde, sulle politiche efficaci e sulle strategie per affrontare la crisi climatica nel settore manifatturiero e non solo.

Nel corso dell’incontro è’ stato anche lanciato il bando “YES! CALL 2023 Sustainable Innovative Solutions from FVG Region”. La call organizzata nell'ambito del progetto “Boosting Youth Engagement for Sustainable Innovation” realizzato da UNIDO ITPO Italy con il sostegno finanziario della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, ha l’obiettivo di trovare soluzioni innovative e sostenibili per affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico, ispirare giovani imprenditori e innovatori a sviluppare modelli di business rivoluzionari e avere un impatto significativo su scala globale. Le soluzioni innovative e sostenibili dovranno essere legate ai seguenti temi: tecnologie verdi, economia circolare, turismo sostenibile, città intelligenti, mobilità e agricoltura sostenibile.

Il bando sarà aperto dal 1° luglio 2023 al 15 settembre 2023 e i risultati saranno resi noti il 15 ottobre 2023.

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Hanno partecipato all’evento Ketty Segatti per la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Dino Fortunato, Chief Technical Advisor UNIDO ITPO Italy, Massimiliano Ciarrocchi, Direttore Confindustria Alto Adriatico, Namir Hourani, Managing Director Global Manufacuring and Industrialisation Summit (da remoto). Presenti anche Rodolfo Taccani, Delegato del Rettore per il Trasferimento Tecnologico e Rapporti con il Territorio, Università degli Studi di Trieste e Salvatore Dore, Referente Contamination Lab di UniTS.

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Robotica Marina: settimana di formazione a UniTS

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Partita il  15 maggio nel nostro Ateneo una settimana di formazione  su robotica marina nell’ambito del progetto Interreg Adrion "MARBLE".

L’Università di Trieste ospiterà infatti per tutta la settimana 125  studenti universitari e post-laurea delle scuole di ingegneria e scienze fisiche provenienti dai 5 paesi partecipanti al progetto Marble: Italia, Croazia (lead partner), Grecia, Montenegro, Bosnia.

L’Università di Trieste, l’OGS e il cluster Marefvg rappresentano gli attori italiani attivi nel progetto.

La settimana di formazione MARBLE prevede una serie articolata di attività: lezioni plenarie, Tutorial/Speciali serie di conferenze, eventi di networking, visite ad aziende (Saipem, Fincantieri, Beneteau) ed un Hackathlon. 

Saranno coinvolti attivamente anche i rappresentanti degli studenti per favorire uno scambio tra i giovani presenti,

I Docenti e relatori coinvolti provengono dalle diverse sedi partner del progetto.  

In apertura ci sarà una presentazione da parte del Segretario generale del Porto di Trieste Vittorio Torbianelli.

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Al via SynMech, progetto europeo coordinato da Lorenzo Cingolani

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Il prof. Lorenzo Cingolani dell'Università di Trieste coordinerà per i prossimi 5 anni il progetto di ricerca SynMech, finanziato dal Consiglio Europeo della Ricerca nel quadro del programma Horizon EIC Pathfinder Open che punta a sviluppare tecnologie radicalmente innovative, con il potenziale di creare nuovi mercati e di affrontare sfide globali. 

SynMech è uno dei 57 progetti selezionati all'interno di una rosa di 858 proposte presentate da ricercatori di 29 paesi europei, con un tasso di successo quindi del 6,6%. Complessivamente, il finanziamento ottenuto dal consorzio, che comprende 7 partner provenienti da Italia, Germania e Olanda, ammonta a quasi 3 milioni di euro

Il progetto intende sviluppare una tecnologia di neurostimolazione altamente innovativa chiamata magnetogenetica sinaptica, con l’obiettivo di controllare la connettività dei circuiti neurali a scopi terapeutici per trattare forme di epilessia e ictus resistenti alle terapie attualmente disponibili.

La magnetogenetica rappresenta un campo emergente delle scienze della salute, che unisce i vantaggi dell'optogenetica, che combina tecniche ottiche e genetiche per comprendere per comprendere le modalità di elaborazione e trasformazione delle informazioni tra neuroni, con quelli delle stimolazioni magnetomeccaniche. Come l'optogenetica, la magnetogenetica si basa su attuatori localizzati per stimolare specifici circuiti neurali, avvalendosi però di campi magnetici, anziché della luce, per penetrare nel tessuto cerebrale in maniera non invasiva.

Il progetto SynMech può contare su un gruppo di lavoro eterogeneo che riunisce fisici, chimici, ingegneri, biologi molecolari, neurofisiologi e medici, e vede coinvolte diverse discipline, inclusa la nanotecnologia (con lo sviluppo di nanoparticelle magnetiche biocompatibili, da parte dell’Università di Verona), l'ingegneria elettronica (con lo sviluppo di stimolatori elettromagnetici ad alta permeabilità, da parte del Julich Research Center, Germania e dell’azienda Brain Science Tools, Paesi Bassi), l’ingegneria genetica (da parte dell’Università di Trieste e del CNR di Milano), l’elettrofisiologia e la microscopia ad alta risoluzione (da parte dell’Università di Trieste e del German Center for Neurodegenerative Diseases di Magdeburgo) e approcci preclinici (con stimolazioni magnetiche transcraniche per epilessia e ictus, da parte dell’Università di Utrecht, Paesi Bassi).

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Finanziato dal programma Horizon con 3 mln di euro punta a sviluppare una tecnologia di neurostimolazione altamente innovativa
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