Data notizia 10 Marzo 2023 Immagine Image Testo notizia In una ricerca appena pubblicata su Nature Cell Biology è stato identificato un meccanismo di danno al DNA cellulare indotto dal virus SARS-CoV-2 che provoca invecchiamento cellulare e infiammazione cronica. Questo studio spiega alcuni effetti patologici dell’infezione, anche a lungo termine, e pone le basi per nuovi trattamenti farmacologici. Una risposta infiammatoria esagerata all’infezione di SARS-CoV-2 è all’origine degli effetti più nocivi del COVID-19. Era noto come alcuni virus fossero in grado di indurre danno al DNA cellulare e che la mancata riparazione del danno provocasse tumori, senescenza cellulare e infiammazione cronica. Partendo da queste premesse si è mosso il team di scienziati coordinato da Fabrizio d’Adda di Fagagna all’IFOM di Milano, insieme ai virologi dell’ICGEB, guidati da Alessandro Marcello, e da Serena Zacchigna e Rossana Bussani dell’Università degli Studi di Trieste per l’analisi dei tessuti dei pazienti. Quello che abbiamo osservato – illustrano Ubaldo Gioia e Sara Tavella, primi autori delo studio – è che SARS-CoV-2, una volta entrato nella cellula, ne dirotta i processi fondamentali, costringendola a smettere di produrre deossinucleotidi, i “mattoni” del DNA, per farle produrre i ribonucleotidi ovvero i “mattoni” che servono a sintetizzare l’RNA della cellula e, soprattutto, quello del virus. È proprio questa alterazione del processo cellulare operata dal virus a proprio vantaggio a consentire l’esplosiva replicazione virale all’interno della cellula infetta da SARS-CoV-2. “Abbiamo osservato”, spiega Alessandro Marcello, “che quando il virus replica nelle cellule infettate esaurisce rapidamente le risorse di precursori necessari alla sintesi degli acidi nucleici. Questo provoca un danno al DNA cellulare che deve essere riparato. Allo stesso tempo, alcune proteine del virus, chiamate Orf6, Nsp13 e N, interferiscono con i meccanismi cellulari di riparazione, provocando senescenza cellulare e produzione di citochine infiammatorie. La cosiddetta ‘tempesta citochinica’ è alla base della patologia polmonare caratteristica del COVID-19, ma anche dei sintomi neurologici che riscontriamo nel “long COVID”, che possono persistere anche a lungo in seguito all’infezione.” “È importante sottolineare”, conferma Serena Zacchigna, “che gli effetti riscontrati nei modelli cellulari studiati in laboratorio sono stati confermati nei tessuti dei pazienti con COVID-19, quindi nel contesto naturale dell’infezione.” Le implicazioni dello studio non si limitano alla comprensione dei meccanismi molecolari dell’infezione, ma pongono le basi di una terapia farmacologica in grado di alleviare le complicanze dell’infezione, soprattutto quelle a lungo termine. “Tre anni fa in Italia siamo stati i primi in Europa a fronteggiare un virus allora sconosciuto”, conclude Alessandro Marcello, “in pochissimo tempo la ricerca scientifica ha portato a risultati fondamentali per il contenimento dell’epidemia come i vaccini e i farmaci antivirali. È importantissimo mantenere alta l’attenzione e sostenere la ricerca di eccellenza per non risultare impreparati nei confronti di emergenze future.” Hanno collaborato allo studio: IFOM, ICGEB, con sede in Area Science Park, IGM-CNR di Pavia, San Raffaele di Milano (Matteo Iannacone), l’Università degli Studi di Padova (Chiara Rampazzo), l’Istituto Neurologico Besta (Paola Cavalcante), Università di Trieste (Serena Zacchigna e Rossana Bussani) e l’Università degli Studi di Palermo (Claudio Tripodo).